Un audio-racconto in sei parti

Amatissime

Memorie di lavoro e di lotta delle operaie tessili reggiane

I podcast ripercorrono le lotte delle lavoratrici tessili reggiane tra gli anni Sessanta e Settanta, tracciando i contorni delle principali esperienze di conflittualità  e  delle numerose forme di solidarietà sviluppatesi tra fabbrica e territorio.
Le condizioni di lavoro sono rappresentate nella loro materialità negli spazi industriali, accanto alle mobilitazioni per i diritti sociali immortalate negli stabilimenti e negli spazi pubblici della città.
Vertenze simbolo come quella della Bloch, della Max-Mara e della Confit rivivono a partire da immagini, documenti e testimonianze delle protagoniste. Una memoria che ritorna di attualità tra lotta di classe e soggettività femminile, raccontata dal punto di vista delle lavoratrici.

PRODOTTO DA CIGL REGGIO EMILIA

A cura di: Lorenzo Immovilli e Valerio Bondi
Montaggio di: Lorenzo Immovilli
Interviste raccolte da: Eloisa Betti e Tommaso Cerusici
Testimonianze di: Luciano Berselli, Irene Colla, Lia Cottafavi, Carla Ferrari, Franco Ferretti, Enrico Foroni, Edda Montecchi, Franco Pedroni, Gianni Rinaldini, Marisa Rondini, Franco Spaggiari, Anna Scappi, Piera Vitale, Norma Borghi, Lucia Brighenti, Adele Manghi, Katia Menozzi, Loredana Reverberi

Tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60, con lo sviluppo dell’industria dell’abbigliamento e della maglieria, molte giovani donne vengono impiegate come lavoranti a domicilio oppure lasciano le campagne per trovare occupazione nelle fabbriche della città. Cambia così in modo radicale la loro prospettiva di vita, cresce la loro indipendenza e autodeterminazione. D’altra parte però, a fronte dei crescenti fatturati dell’Italia del boom economico, permangono condizioni di lavoro ricattatorie, ambienti insalubri e un pesante orario di lavoro.

Ritmi produttivi incalzanti, salari bassi, estrema parcellizzazione del lavoro, un sistema gerarchico e ipercontrollato, lavoro a domicilio senza pause, il cottimo, ambienti di lavoro nocivi che fanno ammalare: sono questi i temi per cui si battono le lavoratrici del tessile alla fine degli anni 60. Lavoratrici sulle quali, oltre allo sfruttamento in fabbrica, gravano il lavoro domestico e la cura della famiglia. Tutto questo provoca oppressione sociale, ma lo spirito collettivistico e di solidarietà dentro le fabbriche è forte. Per la prima volta le donne non si sentono più sole, prendono consapevolezza della propria forza e iniziano una stagione di lotta per i diritti di tutti.

Una nuova generazione di operaie che vuole contare si fa strada a inizio anni ’70, dando vita a forme di lotta auto-organizzate dai toni vivaci e originali. Attraverso assemblee autoproclamate, delegate e consigli di fabbrica, le operaie portano avanti le proprie istanze e danno voce contemporaneamente alla propria soggettività: avere asili, consultori, accesso alla medicina del lavoro, riduzione degli orari. I picchetti davanti ai cancelli delle fabbriche sono per denunciare ciò che accade dentro; la tenda in piazza è per portare nel cuore della città la lotta contro i licenziamenti alla Bloch, con il sostegno di artisti come Lucio Dalla e Dario Fo. Il sindacato comprende la necessità di trasformazione che nasce da dentro le fabbriche e in quegli anni diventa il soggetto politico che, più ancora dei partiti, riesce a interpretare il conflitto sociale in atto.

La crisi petrolifera degli anni 70 innesca una crisi industriale e acuisce la conflittualità. Il sindacato diventa interlocutore politico in storiche vertenze che riguardano tutta la città di Reggio Emilia, in particolare la vertenza Max Mara e la vertenza Bloch. Accanto a grandi conquiste come il riconoscimento dei consigli di fabbrica, il miglioramento dei salari e degli orari di lavoro, la conquista del contratto nazionale di lavoro, si arriva a forme estreme di lotta, come l’occupazione degli stabilimenti, per fermare i licenziamenti. La città e gli altri settori produttivi esprimono ferma solidarietà poiché le rivendicazioni delle operaie del tessile sono riconosciute come istanze di avanzamento e giustizia sociale che riguardano tutti. Finalmente, grazie a questa stagione di lotte, le donne arrivano a ricoprire ruoli importanti anche all’interno dell’organizzazione sindacale.

Con gli anni ’70 si apre una decennale “stagione del conflitto”, che rinsalda le lotte per migliori condizioni di lavoro dentro la fabbrica con le mobilitazioni di piazza per i diritti sociali e civili e per la liberazione delle donne dai tradizionali ruoli di figlia, moglie e madre imposti dalla società patriarcale. Le grandi conquiste di quegli anni nell’ambito dei servizi sociali, della scuola, del diritto di famiglia, le leggi sul divorzio e sull’aborto, sono soprattutto vittorie di questo nuovo soggetto politico che tramite le lotte per il lavoro ha preso consapevolezza di sé e conquistato nuovi spazi all’interno della società, così come all’interno della famiglia; una consapevolezza al tempo stesso soggettiva e collettiva che ha radicalmente cambiato la società.

Nella seconda metà degli anni ’70 si apre la fase del decentramento produttivo. Molte aziende del settore tessile trasferiscono la propria produzione inizialmente in altre città italiane e poi all’estero in zone dove i costi del lavoro sono più bassi e minori sono le resistenze sindacali. Un processo di ristrutturazione pesantissima che porta aziende storiche come Bloch e Confit a chiudere i battenti. Molte delle dipendenti licenziate trovano lavoro in settori come la metalmeccanica, fino ad allora riservati agli uomini. A metà degli anni 80 la crisi del settore è ormai irreversibile, inizia a sfaldarsi quella solidarietà che ha caratterizzato un movimento combattivo e appassionato, che ha lasciato segni indelebili nella società contemporanea.